Poche attrici hanno avuto un’influenza così diffusa sulla cultura popolare del ‘900. Marilyn è stata l’incarnazione di un’epoca, quella del dopoguerra americano, e in sé ha racchiuso tutte le sue peculiarità.
In lei c’è il sogno americano della ragazza cresciuta tra orfanotrofi (madre schizofrenica e padre ignoto) che ce l’ha fatta. Nei suoi arruffati capelli biondi c’è l’incarnazione dell’ideale di bellezza della sua epoca e del ruolo della donna diffuso dai grandi film americani. Nella caparbietà con la quale ha studiato per migliorare la sua cultura, c’è la battaglia per scrollarsi da quell’icona di donna sexy e dimostrare di essere altro, oltre la sua apparenza. Nella profondità del suo sguardo spesso triste, c’è invece quel senso di smarrimento che l’ha accompagnata fino alla fine. Marilyn Monroe è riuscita a raccontare un’epoca e la sua cultura, i sogni, e le incoerenze di un paese intero, con le sue interpretazioni divenendo un mito e come tutti i miti, immortale. Noi la ricordiamo perché tutti l’abbiamo amata e ammirata. (Miri Ronchetti)

Un recital interamente dedicato a una donna della quale si sa tutto e nulla. Marilyn Monroe, nata Norma Jeane Baker, nasce il 1 giugno del 1926 a Los Angeles, California.  Vive un’infanzia segnata dalla malattia della madre e da un elenco interminabile di situazioni dolorose; determinata e caparbia arriva al successo, governata da una volontà di ferro. Pochi conoscono la sua produzione poetica.

Scrive di lei, Pier Paolo Pasolini: “…e per questo era bellezza, la stessa che hanno le dolci mendicanti di colore, le zingare, le figlie dei commercianti vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma. Sparì, come una colombella d’oro”. 

Miriana Ronchetti, testo, regia, interpretazione
Stefania Butti, soprano  – Corrado Bega, attore          

È gradito da parte degli spettatori, un abbigliamento anni 50/60.